Abbiamo scritto recentemente che il “fare” e` cio`
che qualifica gli esseri evoluti rispetto a quelli piu` primitivi o a quelli
che sono ormai degradati. Il “fare” puo` essere visualizzato come l’apice,
l’apogeo, della parabola evolutiva di ogni essere vivente, il “non fare” invece
caratterizza ovviamente i momenti di inizio e fine.

Se quindi, fino a ieri si poteva vivere da
ignoranti nell’illusione di creare un vantaggio per il futuro, oggi si dovra`
ragionevolmente cercare di minimizzare lo svantaggio globale introdotto dalle
nostre azioni. Lungi dal creare depressione, tale consapevolezza dovrebbe
stimolare la sfida ad utilizzare le conoscenze scientifiche e tecniche per
ottenere un miglioramento della qualita` della vita nell’ambito dei limiti
imposti dalla natura.
Risulta pertanto chiaro che l’individuo evoluto,
essendo quello che “fa” nel migliore dei modi (o nel meno peggio degli stessi)
perche` si e` migliorato rispetto al passato, deve essere quello che “fa” con
il minimo spreco che si concretizza nella minima distruzione dell’esistente.
Ma, se tale principio risultasse troppo vago,
potrebbe rimanere il dubbio sul cosa si debba e possa Fare.
Si possono quindi osservare alcuni esempi al
limite per chiarire il ragionamento.
E` abbastanza ovvio che passare l’esistenza a
scavare buche nella terra per poi riempirle sarebbe uno spreco, anche se si
potrebbe considerare una forma del “fare”, ancorche` tra le piu` semplici e
meno tecnologicamente avanzate.
All’altro estremo della tecnologia, forse meno
ovvio e` che il “fare” una bomba atomica, o qualunque altra arma sofisticata e capace di distruggere il mondo intero
rappresenta un altro spreco solenne in quanto il suo utilizzo porterebbe allo
spreco dell’Umanita` intera.
Tra tali due esempi si possono collocare tutte le
attivita` umane del “fare” che andranno valutate per capire di qual tipo si
tratti. Ovvero se siano attivita` distruttive di spreco, da evitare, o
attivita` piu` o meno virtuose da favorire.
Si prenda ora ad esempio un singolo individuo
dotato di varie capacita` innate.
Il non uso di alcune di tali capacita` corrisponde
ad uno spreco sicuro come risorse inutilizzate.
Al contrario, la massimizzazione dell’utilizzo di
tali capacita` offre la speranza di poterle usare per produrre qualcosa di
utile.
Rimane il dubbio se si debba prediligere una capacita` e trascurarne
delle altre per massimizzarne il risultato invece di disperdere le proprie
energie in una miriade di attivita` inconcludenti. Ed e` su tale argomento che la
divisione del lavoro ha fatto leva per secoli in modo da costringere la maggior
parte degli individui a fare una cosa sola come ad esempio avvitare bulloni
alla catena di montaggio o sviluppare la concentrazione di materiale
radioattivo per fare le bombe atomiche.
Ma se l’operaio in fabbrica o lo
scienziato in laboratorio venissero investiti di una responsabilita` piu` ampia
nell’ambito di una societa` creativa e non distruttiva, le loro innate
capacita` creative potrebbero produrre molte piu` cose interessanti e utili,
riducendo lo spreco delle loro vite e delle risorse che utilizzano.
Ecco che, il “fare” piu` efficiente per
l’individuo e` quello che vede l’impiego creativo, equilibrato e bilanciato di
tutte le sue risorse, mentali e manuali allo stesso tempo.
Insomma, chi “fa” bene, e` colui che,
nell’efficienza del suo lavoro creativo, utilizza la mente e la mano in ugual
misura. Al contrario, chi “fa” male e, ad esempio, passa la vita a pestare
tasti al computer o ad avvitare bulloni avra` certamente sprecato svariate
capacita` innate e avra` quindi contribuito al degrado umano e allo spreco di
energie piu` di quanto l’eventuale prodotto uscito dal suo lavoro abbia creato
benefici all’umanita`.
Venendo al mondo dei “makers”, che sembra essere
una nuova tendenza del “fare”, si potrebbe superficialmente vederlo come una
buona cosa. Invece, come si e` detto in alcuni precedenti articoli, esso va
studiato attentamente per capirne il vero valore.
Alla luce di quanto si e` ragionato, risulta che
anche il maker non si sottrae alla necessita` di massimizzare l’uso di tutte le
proprie capacita`, minimizzando allo stesso tempo le risorse impegnate per
l’ottenimento dei risultati che si prefigge. Ed ovviamente tali risultati non
dovranno mai essere di tipo distruttivo come nel caso di quelli che ambiscono a
costruire pistole.
Ma purtroppo, gia` il nuovo stereotipo del “maker”
che si sta diffondendo come colui che crea con le stampanti 3D, indica la
perdita di capacita` creative in paragone con le precedenti generazioni di
coloro che lavoravano con uno spettro molto piu` ampio di tecnologie e
materiali.
Infatti, il giocare con una stampante 3D sedendo
al computer per produrre oggetti piu` o meno monolitici in plastica sembra
essere una utilizzazione molto parziale delle capacita` manuali della persona. E
l’idea che le capacita` mentali nella creazione delle forme da stampare vengano
amplificate grazie all’uso di un computer, di internet o di modelli scaricabili
dalla “nuvola” rimane un’illusione alimentata dall’ignoranza del vero “fare”.
Infatti, ad esempio l’uso di machine a controllo
numerico tradizionali, ancorche` asservite al computer, consente e richiede un
uso piu` elevato della manualita` connessa al ragionamento richiesto dalla
creazione della tattica costruttiva. In tal caso, infatti, le apparentemente
ridotte liberta` di movimento di fresa e tornio tradizionali, vengono
compensate dall’ingegno dell’inteletto che crea le forme come intersezioni ed
inviluppi di forme geometriche di base, immaginate nella mente prima che
modellate dal computer, senza perdere in originalita` del risultato finale,
anzi…
In altre parole, l’apparente liberta` d’azione
offerta dalle stampanti 3D, in realta` toglie al “maker” l’uso di numerose
capacita` di coordinazione manuale – mentale con conseguente perdita di tali
conoscenze ed impoverimento dei prodotti.
Passando ad un livello di artigianato ancora piu` pregiato,
non credo che nessuno vorra` discutere la bellezza e potenziale superior qualita`
di un prodotto fatto interamente a mano dall’artigiano al suo banco di lavoro. Ad
esempio vorrei sapere chi porterebbe con orgoglio delle scarpe in plastica
stampate al computer rispetto a delle calzature in vera pelle tagliate e cucite
da un calzolaio.
Si faccia pero` attenzione, nessuno dice che il
lavoro del calzolaio debba essere antiquato e povero, anzi, un moderno
calzolaio potra` comunque aiutarsi nel lavoro di taglio della tomaia con un
utensile adeguato, ad esempio un raggio laser onde evitarsi I calli alle mani,
sempre che, l’uso del laser sia giustificato in nome del bilancio energetico e
della sostenibilita` ambientale. Ma rimane il ragionevole dubbio che l’utensile
a taglio laser possa essere congeniale nel momento creativo rispetto alla
manipolazione di un coltello o forbice che sono usati da generazioni e
probabilmente si sposano meglio di un pennello di luce con il flusso creativo
mente-mano che il nostro cervello eredita dai genitori e possiede ormai fisiologicamente.
E poi difficilmente un laser da taglio potra` trovar posto in un laboratorio
volto al risparmio energetico ed alla eco-sostenibilita`. Senza contare il
rischio di bucarsi un dito in un attimo anziche` di farsi lentamente venire i
calli di un onesto lavoro.
A questo pounto, vorrei concludere questa prima
nota offrendo un criterio di scelta.
“Se il lavoro creativo non comporta la formazione
di qualche callo e` molto probabile che non si tratti di vera creativita`”.