Una ventina d’anni fa, approdai su un’isola famosa per la sua modernità e successo economico: Singapore. Ci andai dopo aver già lavorato in Austria, Giappone e Malesia, quindi avevo già lasciato l’Italia da circa sette anni. Lasciata l’Italia, mi ero dedicato contemporaneamente ad iniziare la mia ditta di Ricerca e Sviluppo Aerospaziale, a fare il mio Dottorato in Microsistemi per Nanosatelliti e a creare i miei primi progetti per lo Spazio: la mia fase crescente, anche se non in termini economici. Singapore mi poteva offrire opportunità per lo sviluppo delle mie nuove e sofisticate tecnologie. Si trattava di opportunità rese possibili dalla ricchezza di quel paese, dalla sua ambizione e dalla necessità di proteggere la sua posizione ed i privilegi raggiunti a livello internazionale.
M’installai con un certo entusiasmo in uno stanzino di circa 10 metri quadrati in subaffitto all’interno di uno studio di architettura navale che progettava chiatte. Lo riempii subito con i miei strumenti, computer e primi prototipi ed iniziai a cercare clienti per le mie idee. Eravamo uno dei circa trenta uffici al sesto piano di uno di 3 palazzi industriali di 7 piani, in una delle tante zone industriali di Singapore con decine di palazzi come il nostro. Alla sera tornavo nell’appartamento al 13mo piano di una delle 6 torri di 30 piani di uno dei cento condomini di una zona semi periferica della città come ce n’erano tante a Singapore. Nel giro di pochi kilometri di raggio lavoravano e vivevano varie centinaia di migliaia di persone, una densità che non avevo mai immaginato prima.
Il mio primo cliente non era nel campo aerospaziale: William era un gioviale singaporiano di mezza età e taglia extra larga, che aveva comprato una ditta orologiaia di Ginevra, portava al polso un pataccone da centomila dollari, non perché fosse particolarmente sofisticato, non aveva calendari perpetui, o suonerie esotiche, non spaccava il secondo in molte parti, ma era interamente coperto di diamanti e ne aveva uno da un carato che ruotava attorno al quadrante. Aveva un movimento al quarzo da quattro soldi… per sua stessa ammissione, non serviva nemmeno a mostrare l’ora, serviva invece a mostrare chi sei. Da ancor giovane ingegnere con la passione per la meccanica, e con nessun interesse per la ricchezza notai subito la stridente stonatura, ma feci finta di nulla ed entrai io stesso nel rarefatto mondo degli orologi di alta gamma. Creai per la sua ditta un movimento ancora più strampalato e caotico per il diamantone in un orologio che sarebbe costato più di una villetta e di cui però non avrebbero venduto che pochissimi esemplari, a qualche petroliere arabo o oligarca russo. A me vennero pochissimo introito ed ancor meno guadagno pecuniario, ma imparai molte nuove cose e potei comprarmi un tornietto ed una fresa con cui finalmente costruire in casa i pezzi meccanici dei miei progetti. Infatti, il fare in casa quanto possibile era da sempre un mio principio di vita, forse il primo granello del mio percorso decrescente.
Vivendo a Singapore, mi resi presto conto dell’estremo divario sociale tra chi poteva permettersi condomini o ville di gran lusso e chi, invece, aveva costruito quei condomini o ville, strade e ponti, vivendo in dormitori nascosti ai margini della città e raggiungendo i vari cantieri trasportato precariamente nei cassoni di camioncini, rischiando la vita ogni giorno per mandare pochi risparmi a casa nei paesi poveri più o meno limitrofi di provenienza.
Per mangiare si potevano scegliere ristoranti di ogni tipo, con prezzi che iniziavano da un livello equivalente a quelli italiani, dove noi andavamo qualche volta, e salivano ad altezze senza limiti che erano ovviamente fuori discussione per noi, mia moglie ed io entrambi piccolissimi imprenditori in proprio e molto attenti alle spese inutili. Molto più spesso si andava ai cosiddetti “food-courts”, cioè capannoni con file di baracchini ognuno specializzato in un solo tipo di cibo e tavolini fissi per sedersi a mangiare. Quei tavoli, erano comunemente ripuliti da vecchietti ingobbiti che non avevano altro modo di sopravvivere in assenza di una vera pensione. Andando al lavoro, solitamente a piedi o di corsa, incrociavo spesso una vecchina piegata in due che spingeva un carretto con cui raccoglieva cartoni da vendere… non credo fosse un passatempo da pensionato nullafacente.
Provenendo da una vita relativamente benestante, tali incongruenze furono l’inizio della mia sensibilizzazione sociale ed iniziai a leggere… e ben presto mi resi conto della mia naturale vicinanza al pensiero della Decrescita. Alcuni dei libri più rilevanti che mi hanno accompagnato nel personale “percorso decrescente” sono nella foto all’inizio di questo breve scritto e ne parlerò più diffusamente in una serie di articoli di prossima pubblicazione.
Si tratta di un percorso certamente non lineare e che si può intraprendere lungo diverse dimensioni, di cui ho lentamente apprezzato la profondità ed estensione, anche attraverso discussioni anche piuttosto accese con vari personaggi incontrati durante quella mia permanenza asiatica oppure con vecchi amici nelle mie brevi visite in Italia.
Ricordo in particolare una cena con vari professori e ricercatori di Singapore, persone dalla vita ben stabilizzata nel ceto medio-elevato, in cui il tema della chiacchierata fu proprio la realtà locale. Io non nascondevo la mia posizione critica sull’urbanizzazione esagerata delle città asiatiche e non solo, e discussi un semplice calcolo in cui dimostravo che se ci fossimo tutti distribuiti uniformemente sulla superficie terrestre avremmo avuto spazio sufficiente per coltivarci il cibo e produrre energia dal sole, avremmo lavorato in modo remoto... come tanti altri ed io già sapevamo fare decine d’anni prima del Covid. Era ovviamente una proposta al limite, provocatoria ma possibile. L’opposizione fu drastica, l’obiezione fu netta e centrata sull’assunto che l’umanità deve concentrarsi nelle città per ottimizzare gli spostamenti lavorativi e per contenere la natura selvaggia al di fuori del perimetro civilizzato.
Anche nei miei brevi ritorni in Europa mi trovavo a discutere con persone di un certo successo professionale, di cultura elevata e di mentalità generalmente empatica, ma che sostenevano la necessità di progettare e produrre prodotti che non durassero per sempre, cioè cose che rompendosi o divenendo obsolete consentissero di continuare a produrre, lavorare, pagare mutui, ricevere interessi sui depositi bancari, pensioni, eccetera.
Insomma, la filosofia della ruota del criceto era globale.
Ciò che vedevo, le persone con cui parlavo, la vita che stavo conducendo ed i suoi obiettivi sembravano tutti elementi discordanti con la mia idea di un mondo equilibrato e giusto, ma vedevo chiaramente che le discussioni basate su etica ed opinioni non portavano alcunché, chiunque aveva il “diritto” di avere un’opinione diversa, usualmente supportata da una buona dose di arrogante ignoranza per continuare a fare ciò che era più conveniente.
Un aspetto che mi disturbava e disturba particolarmente tutt’ora era l’abbondanza di personaggi in cerca di teorie alternative a quelle scientifiche, che rifiutavano a priori senza averle studiate o tantomeno capite in favore di fantasie pseudoscientifiche in cui comunque appaiono paroloni di moderno “latinorum”, rubati per esempio alla Fisica Quantistica o alla Biologia ma applicati ingenuamente a sproposito, o con ingegnosa mala fede, per puro condimento di frasi sconclusionate ad effetto sulle menti semplici. Il conseguente apparente allontanamento dalla tecnologia che comunque tali “pensatori” utilizzano abbondantemente in ogni secondo della loro vita è il segno più ovvio della loro ipocrisia. Questo particolare problema sembra amplificarsi sempre più nella confusione politica del giorno d’oggi in cui temi di ecologia vengono rapiti, sfruttati fuori luogo ed usati da populisti di destra e manca per giustificare decisioni assurde, non etiche, o addirittura capitaliste ed autoritarie.
Da tutto ciò nacque la mia necessità di studio, per andare veramente alla radice delle cose, in modo razionale, basandomi sull’unica conoscenza sensata, cioè su teorie le più semplici e generali possibili, dimostrabili con esperimenti quantitativi e riproducibili: la Scienza… che mi ha sempre accompagnato lungo tali studi in direzioni diverse, dimensioni storiche, sociali ed etiche, tenendo ben in vista l’obiettivo finale, cioè quello divulgativo ed educativo, in modo da poter veramente produrre un cambiamento e non rimanere uno studioso isolato nelle sue teorie incomprensibili. Di queste dimensioni e di altri aspetti decrescenti conto di scrivervi presto.
In attesa dei prossimi appuntamenti, auguro a tutti: meno e migliori cose !
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