L'essere umano nasce incapace di fare e riceve assistenza in tutti i suoi bisogni dai genitori. Pertanto la prima cosa che impara e` il chiedere, esprimendo i suoi bisogni per ottenerne la soddisfazione da parte di altre persone. A giudicare da come anche l'adulto rimane preda dell'incapacita` di fare da se, si puo` concludere che tale attitudine e` la piu` difficile da modificare e cosi` si continuano a sviluppare illimitatamente le doti che consentono lo sfruttamento altrui, quali la manipolazione verbale, lo scambio di favori, l'appropriazione del surplus prodotto da altri, la creazione di bisogni fasulli e tali da giustificare la propria esistenza di nullafacente e tutta una serie di lavori o pseudo lavori che non producono assolutamente nulla ma si limitano puramente al controllo e del lavoro fatto da altri.
Tale perverso meccanismo, cosi` enormemente diffuso nella societa`da venir considerato la norma, e` all'origine di tutte le inefficienze sociali e si identifica nell'atavica, congenita e inevitabile "paura del fare" aquisita in tenera eta` da tutti i bambini.
Infatti, se fossimo tutti avidi ed impavidi di fare, potremmo trarre le nostre soddisfazioni quotidiane dalla trasformazione di materia prima in prodotti per il nostro uso personale anziche` destreggiarci nell'uso piu` o meno pulito della lingua per ottenere il lavoro ed i prodotti altrui.
Fortunatamente, attraverso metodi educativi opportuni, alcuni di noi acquisiscono la capacita` ed il piacere del fare, usualmente assieme ad un minor interesse nella comunicazione verbale a scopo manipolativo.
Ma purtroppo, una gran parte di noi viene costretta al fare da parte del resto della societa` che ha maggiormente sviluppato le arti sociali manipolatorie.
Ovviamente il fare produce piacere intrinseco solamente se e` spontaneo e non quando risulta da costrizione. Cosi avviene che il fare diventa sinonimo di costrizione ed assume ulteriore connotazione negativa tra i piu` che vedono il non fare come un traguardo sociale da raggiungere.
Un'altro problema del fare origina dal rischio di sbagliare, infatti solo chi cerca di costruire, dovendo imparare, e` soggetto allo sbaglio. Gli altri, quelli che invece manipolano la produttivita` altrui non sono direttamente imputabili in caso di errore in quanto trovano sempre una circostanza esterna che li giustifica ed esclude, non ultimo l'errore fatto proprio da chi produce.
Tutto cio` comporta il degrado delle potenziali capacita` concretamente creative individuali e produce un impoverimento sociale, una superficializzazione dell'umanita` che diventa sempre piu` incapace di fare e sempre piu` individui vengono spinti dal sistema alla ricerca di metodi di sfruttamento altrui anziche di virtu` produttive e creative intrinseche.
Va da se che l'inattivita` creativa degrada anche la psiche inserendo l'umanita` in una spirale che la sta portando a velocita` esponenziale verso l'autodistruzione per incapacita` di produttivita` creativa individuale.
Tale perverso meccanismo, cosi` enormemente diffuso nella societa`da venir considerato la norma, e` all'origine di tutte le inefficienze sociali e si identifica nell'atavica, congenita e inevitabile "paura del fare" aquisita in tenera eta` da tutti i bambini.
Infatti, se fossimo tutti avidi ed impavidi di fare, potremmo trarre le nostre soddisfazioni quotidiane dalla trasformazione di materia prima in prodotti per il nostro uso personale anziche` destreggiarci nell'uso piu` o meno pulito della lingua per ottenere il lavoro ed i prodotti altrui.
Fortunatamente, attraverso metodi educativi opportuni, alcuni di noi acquisiscono la capacita` ed il piacere del fare, usualmente assieme ad un minor interesse nella comunicazione verbale a scopo manipolativo.
Ma purtroppo, una gran parte di noi viene costretta al fare da parte del resto della societa` che ha maggiormente sviluppato le arti sociali manipolatorie.
Ovviamente il fare produce piacere intrinseco solamente se e` spontaneo e non quando risulta da costrizione. Cosi avviene che il fare diventa sinonimo di costrizione ed assume ulteriore connotazione negativa tra i piu` che vedono il non fare come un traguardo sociale da raggiungere.
Un'altro problema del fare origina dal rischio di sbagliare, infatti solo chi cerca di costruire, dovendo imparare, e` soggetto allo sbaglio. Gli altri, quelli che invece manipolano la produttivita` altrui non sono direttamente imputabili in caso di errore in quanto trovano sempre una circostanza esterna che li giustifica ed esclude, non ultimo l'errore fatto proprio da chi produce.
Tutto cio` comporta il degrado delle potenziali capacita` concretamente creative individuali e produce un impoverimento sociale, una superficializzazione dell'umanita` che diventa sempre piu` incapace di fare e sempre piu` individui vengono spinti dal sistema alla ricerca di metodi di sfruttamento altrui anziche di virtu` produttive e creative intrinseche.
Va da se che l'inattivita` creativa degrada anche la psiche inserendo l'umanita` in una spirale che la sta portando a velocita` esponenziale verso l'autodistruzione per incapacita` di produttivita` creativa individuale.
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